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Stampe serigrafiche

Parco della Gorgone, Gela

Anno: 2000-03

Nei primi anni del 2000 Mari viene coinvolto nella riqualificazione urbana del Quartiere Sette Farine di Gela, una delle zone più degradate dall’abusivismo edilizio della città.

Il progetto è una riqualificazione globale: nasce dal confronto tra Mari e la società reale che vive il quartiere ed è quindi frutto di una partecipazione democratica. Gela è una cittadina di 80000 persone, con un passato di potente città-stato della Magna Grecia, di cui è possibile leggere la traccia degli scavi dell’acropoli e nei reperti del museo archeologico, che raccoglie una raffinata produzione di ceramiche per cui la città era famosa. Il petrolchimico dell’Eni voluto da Enrico Mattei, costruito alla fine degli anni Cinquanta lungo il litorale, è l’unica grande emergenza urbana che ha influenzato le trasformazioni della città moderna. Nel quartiere non esistono negozi, laboratori artigiani o luoghi di relazione: l’area di progetto è un rettangolo di argilla, un terreno che non drena l’acqua piovana, uno spazio comune abbandonato a sé stesso.

In questo caso, va osservata non tanto la qualità architettonica del progetto presentato quanto il significato simbolico che assume il tentativo di recupero di questa periferia, concepito come modello di riferimento per l’intera città. Per Mari, il bisogno fondamentale in un progetto architettonico è di natura simbolica: una forma è in grado di comunicare le proprie ragioni quando esiste un codice collettivo di comprensione, e non può essere né pensata né realizzata al di fuori delle persone che potenzialmente si riconoscono in essa. Un progetto come quello per Gela può essere sviluppato solo con la partecipazione appassionata della comunità, che esprime i propri bisogni immediati descrivendoli più o meno ingenuamente al progettista, che invece indica i bisogni globali, proponendo le soluzioni concretamente realizzabili. L’obiettivo utopizzante di Mari per questo progetto è, quindi, coinvolgere i cittadini a pensare Gela con le peculiarità che una vera città possiede: principalmente quella di essere la manifestazione della propria storia e della propria vitalità.

Mari ha quindi due intuizioni. La prima è di ordine spaziale: l’idea è conservare questo vuoto, un gesto anche utopico: trasformare un luogo che l’esito di una situazione individualistica in uno spazio pubblico, un luogo che è condiviso da tutti. La seconda intuizione è di conoscere la gente del luogo: ciò che realmente Mari innesca nel momento in cui coinvolge direttamente gli abitanti nel progetto è la stipulazione implicita di un patto: la gente serve al progettista come lui serve alla gente. L’opera architettonica è un fenomeno di responsabilità collettiva. Le costruzioni preconfigurate in questo progetto sono da intendersi come simboli e monumenti di una memoria storica da recuperare ma la qualità prima di una città è quella della cultura vitale dei suoi abitanti, la stessa cultura che si riconosce nei modelli costruiti e interagisce con loro vivificandoli.

La mostra degli esiti del progetto è allestita nella scuola del quartiere nel settembre 2005 e viene visitata da 4000 persone. Il progetto non ha seguito.