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Proposta per la lavorazione a mano della porcellana

Anno: 1973

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All’inizio degli anni Settanta, Jacqueline Vodoz e Bruno Danese chiedono a Mari di disegnare degli oggetti decorativi in porcellana basati su una ricerca formale; la richiesta nasce dopo anni di tentativi di allargare il proprio bacino di utenza producendo oggetti di largo consumo con un alto standard di produzione. Tali ricerche erano finalizzate a dimostrare l’economia di impiego della macchina utensile o dei semilavorati industriali nell’ambito del lavoro artigianale, con l’intento di uscire dalla ridondanza che la copia di modelli di riferimento aveva causato nel mercato.

Tuttavia, la Proposta per la lavorazione a mano della porcellana indaga in realtà la condizione del lavoro artigianale, svelando i meccanismi di straniamento che lo accomunano alla produzione industriale.

Mari svolge la sua ricerca partendo dalla considerazione e dall’analisi dei prodotti esistenti, la maggior parte dei quali giudica di pessima qualità, e visitando alcuni laboratori artigiani: qui, ha la possibilità di realizzare che il basso costo di vendita di questi oggetti, considerati “fatti a mano”, deriva dall’essere in realtà il risultato di un processo meccanico, in cui la produzione artigianale finisce per essere una condizione alienante come il lavoro in una qualsiasi catena di montaggio. Un altro problema che rileva Mari è il distacco tra il progettista che elabora i modelli formali per la produzione e l’esecutore che è destinato a eseguire in modo pedissequo il progetto: per il designer, invece, la forma si definisce sulla base delle ragioni della materia, e pertanto non può essere imposta come segno dall’esterno da ripetere vuotamente.

In relazione alla richiesta di oggetti di tipo artigianale, Mari propone di realizzare ogni oggetto completamente a mano dallo stesso operaio; nel processo sono coinvolti Raffaele Tosin, Antonio Ongaro e Angela Cerin, che lavorano per la manifattura artigianale “La Freccia” di Tarcisio Tosin a Vicenza.

Il progetto, prima di tutto, è il ripensamento del modo di lavorare artigiano che recupera alcuni modelli arcaici, oggetti di una cultura antica tuttavia molto familiare.

La proposta del designer è sostituire alla tradizionale colata di caolino negli stampi la realizzazione di ritagli e di semilavorati in argilla da adagiare su forme concave refrattarie da mettere direttamente in forno per la cottura: per la produzione, Mari studia con gli artigiani alcuni modelli, coinvolgendoli quindi nelle scelte formali, con l’obiettivo di ridare loro il senso della progettazione e lasciandoli poi liberi di proseguire nel lavoro di ricerca. Gli oggetti così prodotti hanno un grande successo di vendita nonostante il prezzo elevato. Tuttavia, come rileva Mari stesso, gli operai non sono riusciti a liberare la propria creatività e, anzi, hanno continuato a lavorare seguendo un certo ritmo di produzione e a copiare, dei modelli suggeriti dal designer, anche le imperfezioni. Il designer riconosce quindi il fallimento della sua proposta, di questo tentativo di recupero della creatività degli artigiani, che avrebbero dovuto essere i primi destinatari del suo “progetto-uomo”.

Nel testo di presentazione del progetto per il catalogo di Danese, Sottsass evidenzia come il tentativo che Mari insegue con disperazione e accanimento è

sottrarre il design al suo peccato originale, riscattarlo dalla corruzione e metterlo in qualche modo disposizione della storia malinconica della gente che cammina per le strade piuttosto che a disposizione delle presunzioni stizzose delle aristocrazie al potere.

E mentre guardava

gli uomini, le donne e le ragazze mentre facevano in fabbrica altre porcellane, […] costretti per via delle esigenze produttive e di mercato a ridurre a zero le loro qualità

intuisce che la sua ricerca consiste nel trovare il modo di affrancarli da quella situazione in cui la progettazione è loro negata. Conclude che le porcellane non sono oggetti ma

diagrammi per gesti meticolose di mani e per sguardi attenti di occhi che forse hanno ritrovato il loro destino, diagrammi per esercizi liberatori […] Bisogna onorarle come si onorano gli strumenti del rito perché non vengano toccate dalla ferocia della vita quotidiana che non fa altro che farci dimenticare le mani affaticate e gli occhi spaventati della gente che cammina per le strade e che la sera, un palo della luce dopo l’altro, se ne torna a casa.

Quintavalle ravvisa nei modelli elaborati da Mari la ripresa di texture studiate a livello teorico da Munari; l’iterazione dei singoli motivi è un’operazione implicita dell’arte programmata. Vengono realizzati 17 modelli di ciotole basse e 4 di vasi alti che vengono lasciati bianchi.

Il progetto conservato allo CSAC consta di un corpus di schizzi senza data e numerazione e disegni tecnici che descrivono le diverse fasi del processo progettuale: un primo nucleo di 37 schizzi riguarda le prime ipotesi formali, in cui il concept è presentato mediante linee a penna o a pennarello che impongono una texture a figure geometriche quali cerchi e rettangoli; a questo fa seguito un gruppo di 17 schizzi in cui è rappresentato il processo di composizione e stratificazione dei moduli di base (i semilavorati in argilla) per ciascun oggetto; infine, 22 disegni tecnici, realizzati tra maggio e ottobre 1973, riportano i modelli definitivi delle diverse varianti di ciotola. Lo CSAC conserva anche un manifesto, che presenta tutti i modelli prodotti, e una variante di ciotola bassa con packaging originale.