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The Big Stone Game

Anno: 1968

Nel corso degli anni Sessanta, Mari raccoglie l’invito a progettare alcuni spazi di gioco che ipotizza come aperti e disponibili alla sovrapposizione di storie da parte dei bambini: la libertà insita nell’appropriazione, costruzione e organizzazione degli spazi del proprio habitat è riferimento del designer nella progettazione. Mari, infatti, riconosce nello stato dell’infanzia il momento di massima capacità ricettiva tensione conoscitiva verso il mondo circostante: il gioco, quindi, corrispondendo alla fortissima attitudine alla conoscenza presente nei bambini, richiedono sforzo progettuale impresa pronta atto “al massimo impegno etico e didattico”.

Nel 1968 Mari viene incaricato dall’Ente del Marmo di Carrara di progettare un campo da giochi da esporre alla III Mostra Nazionale del Marmo; l’opera sarà collocata nell’area verde di pertinenza dell’esposizione, tra i lavori di diversi scultori e architetti. Mari decide “di costruire una sorta di spazio allusivo di questa possibilità di gioco e di questa libertà di interpretazione del luogo”. Il progetto dalla sua indagine sull’utilità, necessità e capacità dei bambini di realizzare il proprio mondo ed esercitare il proprio maestro in tutta libertà.

The Big Stone Game è una piattaforma per i giochi che consiste in uno spazio scoperto a base quadrata, con pavimentazione in lastre di ardesia quadrate, delimitato in prossimità degli angoli da quattro coppie di pareti in marmo, ciascuna dotata di una coppia di fori ovali variamente disposti; le otto pietre sono orientate verticalmente, con larghezza pari a 125 cm e altezza di 250 cm, come 250 cm è la misura dello spazio compreso tra due pietre poste lungo lo stesso lato, portale di accesso allo spazio dei giochi.

L’assenza di un contesto entro cui inscrivere la sua opera, quale potrebbe essere il giardino di una scuola d’infanzia, pone il designer nella condizione di immaginare un luogo circoscritto, della dimensione contenuta di circa 6 m per lato, in antitesi alle infinite possibilità che un ambiente aperto di qualsiasi tipologia (il giardino di una scuola, un parco, una piazza) può offrire.

La polarità tra lo spazio interno, quello intimo del gioco, e l’esterno, quello pubblico dei grandi, si costruisce attorno alla citazione delle strutture megalitiche, con la loro forza evocativa e la condensazione di richiami temporali e di orizzonti di civiltà che preserva e consegna al presente. Lo spazio sacro, compreso tra le otto cortine litiche, rimane vuoto, non accetta interferenze da parte di attrezzature funzionali per il gioco poiché risulterebbero un limite alla libertà creativa del bambino.

Quintavalle sottolinea come l’idea di uno spazio di misura limitata contribuisca a garantire un’estrema concentrazione al sistema di gioco; Mari inventa un posto di gioco proporzionato al bambino, racchiuso da monoliti che costruiscono un rapporto tra il nucleo sacro del gioco e l’ambiente circostante.Mari ha donato allo CSAC 20 schizzi, numerati e non datati, e un disegno esecutivo relativi a questo progetto. Gli schizzi afferiscono a due momenti precisi dell’evoluzione dei ragionamenti sul progetto: una prima parte, che consta di 11 schizzi, definisce alcune ipotesi progettuali mentre il secondo blocco, di 9 schizzi, descrive le fasi di elaborazione dell’ipotesi scelta, muovendo da assonometrie popolate di bambini per arrivare a trattare questioni pratiche come la dimensione e la quantità delle piastre della pavimentazione.