Il posto dei giochi
Anno: 1961
All’inizio degli anni Sessanta, su richiesta di Danese, Mari inizia una ricerca finalizzata alla progettazione non tanto di un gioco quanto di un’attrezzatura, un dispositivo per il gioco, che stimoli nei bambini la capacità di organizzare il proprio habitat e a trarne suggerimento per le attività ludiche.
L’obiettivo è fornire uno strumento con cui creare un recinto, un luogo chiuso e al contempo aperto, in cui il bambino possa isolarsi almeno in parte dal mondo degli adulti, che non gli fornisce alcuno spazio di questo tipo, e in cui possa acquisire, attraverso la propria interpretazione, nuove nozioni del mondo.
Nel primo progetto di Mari, una serie di cubi aggregabili mediante giunto avrebbe consentito al bambino di costruirsi autonomamente il proprio spazio praticabile, ma viene presto accantonato per l’alto prezzo generato dalla complessità del giunto; la scelta successiva, che viene poi adottata, è ridurre l’elemento cubico a un semplice paravento lineare. Per la produzione, che inizia nel 1967, Mari sperimenta l’uso del cartone cannettato, un materiale facilmente reperibile, atossico, leggero ma in grado di garantire una notevole resistenza strutturale, che il designer utilizza anche negli allestimenti per Danese dal 1964: questo oggetto spaziale è lungo 3 m, alto 90 cm e presenta 10 superfici; ed è messo in commercio ripiegato a fisarmonica con il nome di Posto dei giochi.
I bordi superiore e inferiore di questa lunga barriera vengono arricchiti da una serie di interventi formali che evocano nuovi significati dell’oggetto e permettono di identificarlo come strumento di gioco: da un lato, fustellature a quadrati decrescenti sono interpretabili alternativamente come merli di un castello o come un sistema di gallerie, e dall’altro una serie di forme libere sono elementi simbolici che si prestano a diverse decodifiche.
Infine, Mari appone un ultimo elemento decorativo, facendo stampare sulla superficie alcuni motivi ed elementi grafici che ricordano ambienti naturali (ci sono fiori, erba, una cascata, acqua, sassi e massi), antropizzati (mattoni, reticolo) e figure geometriche; decide di riprodurli su un solo lato del paravento, garantendo così al bambino la possibilità di includerli o meno nel proprio giocare.
Questo strumento può essere adoperato da uno o da più bambini di età compresa tra i tre e i sei anni, come elemento di comunicazione o come occasione di isolamento, e può diventare una casa, un castello, un labirinto o una stanza dei giochi.
Come sostiene Quintavalle nel suo Enzo Mari (Parma, 1983), il titolo dato da Mari al progetto è fortemente evocativo. La libertà spaziale caratterizza tutta la progettazione e la conseguente produzione per l’infanzia di Mari, e attraverso questo progetto lascia liberi i bambini di ricavarsi il proprio spazio. La prima ipotesi avanzata dal progettista, di organizzare i pannelli secondo uno schema componibile, è il principio che guida Il gioco delle favole. L’intenzione di costruire giochi che non siano chiusi ma aperti deriva dalle teorie di Jean Piaget, uno dei più importanti pedagogisti del Novecento, sullo sviluppo cognitivo.
Infine, Quintavalle ritrova nelle decorazioni usate da Mari degli echi della cultura jugend, dell’espressionismo astratto americano e del De Stijl.
Stefano Casciani, in Arte industriale (Roma, 1988) rileva che Il posto dei giochi è un’invenzione tipologica: un oggetto al limite tra il prodotto industriale e un cartone di riciclo usato per costruirsi un fortino. In tutta l’opera di Mari per Danese, secondo l’autore, è difficile trovare un esempio di arte e design di tale precisione e levatura, se si escludono gli oggetti d’uso che trasferiscono a livello tridimensionale questo tipo di concezione. Il posto dei giochi rimane così un fenomeno di confine nel tempo nello spazio della produzione Danese, in bilico tra il gioco e l’oggetto d’arte: dal 1970 questo prodotto ha ricevuto una lunga serie di riconoscimenti da diverse istituzioni artistiche quali i musei.
Il corpus di schizzi di progetto conservato allo CSAC restituisce la lunga ricerca formale sulla decorazione impostata da Mari, che per ciascun elemento realizza diverse prove: in particolare, una busta contiene 45 schizzi a pennarello su carta non vergata, alcuni dei quali versione di poco dissimile alla definitiva. Sono presenti, inoltre, tre modelli in cartoncino bianco e uno in carta vergata da pacchi che, opportunamente piegati e disposti verticalmente, contribuiscono a rendere la spazialità dell’oggetto: uno, in particolare, si immagina possa essere servito a Mari per ragionare sull’altezza del paravento, poiché vi è disegnata a pennarello la sagoma di un bambino. Infine, una serie di otto xerocopie mostra alcune delle decorazioni definitive per la produzione.