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Arte negli anni Cinquanta

Nel 1951 Mari inizia a frequentare i corsi alla Scuola Superiore di Arte Applicata all’Industria al Castello Sforzesco di Milano: qui gli allievi si formano nelle diverse discipline a stretto contatto con i materiali e sotto la guida di un maestro, secondo la grande tradizione italiana della bottega. In questo contesto, Mari studia il nudo, l’affresco e l’encausto, tecnica pittorica con la quale realizza alcune opere tra il 1952 e il 1953. È lontano da qualsiasi contatto con il dibattito critico sull’arte di quegli stessi anni.

Nel 1952 Mari si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera; inizia con la pittura e prosegue gli studi, senza terminarli, in scenografia, dedicandosi a ricerche di prospettiva e scenotecnica e alla realizzazione di bozzetti teatrali.

Nello stesso anno, grazie a una piccola borsa di studio finanziata dal Rotary Club che si aggiudica, assieme a una medaglia d’argento, per le sue capacità nell’esecuzione della tecnica dell’affresco alla Scuola del Castello Sforzesco, Mari compie il suo viaggio iniziatico in Italia alla scoperta dei grandi maestri del Rinascimento, Giotto, Masaccio, Piero della Francesca: le direzioni che sostanziano la sua ricerca sono, da un lato, la necessità di capire la regola, il programma, sottesa al processo di formazione delle grandi opere del passato e, dall’altro, lo studio della percezione della profondità.

Le sue prime opere, quindi, sono costruzioni spaziali in cui si delinea con chiarezza lo studio della percezione dello spazio tridimensionale e, in particolare, dei rapporti tra colore e volume, tema su cui Mari costruisce una tesi al primo anno all’Accademia di Brera: affronta, in particolare, “l’analisi delle superfici colorate che determinano un volume”, articolando le sue ricerche attorno a due nodi, ovvero “l’ambiguità percettiva dello spazio tridimensionale interno“ e “l’analogia tra le strutturazioni seriali dei fenomeni naturali e la programmazione dei fenomeni percettivi”, e verificandone gli esiti mediante l’osservazione di alcuni modelli isolati in un ambiente illuminato in modo omogeneo attraverso una camera luminosa che ne permette la completa comparabilità, in un procedere parzialmente intuitivo.

Sostiene Mari che, come tutti i fenomeni naturali visibili e invisibili, anche quelli percettivi sono organizzati in serie seguendo una determinata struttura, e sono passibili di condizionamenti da parte del mondo fisico che, nell’interferenza tra serie, determina nuove aggregazioni con nuove sequenze.

A partire dal 1953, realizza ricerche su queste variazioni tematiche che presenta in questo modo:

Una serie di tasselli uguali riempie gradatamente, da un minimo a un massimo, la cavità di un reticolo costituito da alveari a cubatura costante. I tasselli, disposti con una sequenza ascendente e discendente sempre uguale, occupano tutto il reticolo seguendo un andamento continuo (per esempio a spirale). […] Ne risulta una struttura con variazioni tematiche sempre diverse, leggibili in tutte le direzioni.

L’interrelazione tra due momenti, quello della ricerca e quello del progetto, porta all’opera d’arte che, in queste condizioni, è contemporaneamente modello di ricerca e manufatto.

Sono sempre del 1953 le Serie sinestetiche o auree, lavori che esplorano le corrispondenze tra la percezione visiva e auditiva, attraverso cui Mari indaga la possibilità di adozione di una scala elementare le cui variazioni ripetitive permettano l’articolarsi delle diverse comunicazioni.

Nello stesso anno, infine, inaugura la sua prima mostra personale alla Galleria San Felice di Milano in cui sono esposti alcuni dipinti di scene per spettacoli teatrali premiati dalla stessa galleria.

Al termine della Seconda guerra mondiale, a Milano viene approvato un piano di ricostruzione per poter rispondere alle esigenze di una popolazione che aveva raggiunto i due milioni già prima del conflitto; tra il 1948 e il 1953 il piano regolatore subisce alcune sostanziali modifiche che portano alla creazione di quartieri di edilizia economica e popolare emarginati dallo sviluppo della città. In questo clima di speculazione edilizia e uso inadeguato degli strumenti urbanistici, Mari realizza alcune opere di contestazione, come Casa d’affitto, Casa dolce casa, Il casone nuovo e La città giardino (1954), che utilizzano lo stesso linguaggio di rappresentazione dei volumi usato nel 1952 per descrivere in modo critico la ricostruzione della città.

Al 1954 risale anche lo studio per L’Anniversario, una tempera su tela che rappresenta il simbolo della falce e martello visto posteriormente, in cui è messa in evidenza l’intelaiatura di giunzione tra le parti che realizzano falce, martello e stella. Il riferimento iconografico è il crocifisso rappresentato nel Presepe di Greccio di Giotto (1295-1299); inoltre, il taglio prospettico che Mari dà all’opera affonda le proprie radici nel costruttivismo sovietico e riecheggia parimenti il Progetto per una tribuna per Lenin di El Lissitzky (1920)

Dal 1955 Mari realizza alcune opere attraverso le quali documenta le sue ricerche sulla percezione dello spazio tridimensionale iniziate nel 1952 e che lo porteranno negli anni Sessanta alle opere d’arte programmata: evoluzione delle indagini con la camera luminosa, queste “strutture” sono formate da celle elementari affiancate, sequenze di modelli tridimensionali in cui ogni parallelepipedo è un ambiente autonomo dove sperimentare diversi effetti di profondità attraverso la variazione tra settori e cromia delle superfici. Questi lavori, come la Struttura 301 (1956), sono leggibili su due livelli: una particolare, ambiente per ambiente, e una globale, degli ambienti nel loro insieme. Alcune di queste opere sono esposte nel maggio 1957 nella mostra “Enzo Mari: esperimenti colore-volume” presso lo Studio B24 a Milano: il pieghevole di invito è un multiplo di una struttura in cartoncino bianco e nero.

Le opere d’arte che realizza nel triennio successivo (1957-1959) sono frutto della medesima ricerca sull’ambiguità percettiva dello spazio tridimensionale e spinte dalla necessità di superare problemi di tipo tecnico ed economico: le nuove strutture sono ambienti virtuali costituiti da sequenze di piani con forature concentriche (come la Struttura 382 del 1957) o da piani contigui che esplorano la profondità attraverso l’alternarsi di pieni e vuoti (come la Struttura 468 del 1959)

Tra il 1959 e il 1963, intanto, la ricerca artistica di Mari è tesa a verificare, da un lato, le relazioni insite tra contenuto e contenitore e, dall’altro, la disgregazione e ristrutturazione delle aggregazioni modulari “del disporsi con naturalezza”.

La prima indagine afferisce alle ricerche sull’ambiguità percettiva dello spazio tridimensionale interno. In Funzione della ricerca estetica, Mari ragiona sulla percezione della consistenza di un volume rispetto a un modulo di confronto e sostiene:

Riferire un determinato volume ad un modulo di raffronto permette di migliorare la percezione della sua consistenza. La relazione è tanto più evidente e significante quanto più i due elementi (o almeno uno) saranno semplici e correlati. La correlazione massima la si ottiene incorporando un elemento nell’altro, stabilendo quindi un rapporto contenuto-contenitore. È possibile percepire il contenuto con la realizzazione di modelli, la cui scala consenta la praticabilità interna, o col rendere trasparente il contenitore. Se le condizioni pratico-economiche impediscono la prima possibilità, la seconda consente, oltre alla visione interna del contenitore, anche altre possibilità di verifica: dall’osservazione contemporanea dello spazio esterno con quanto è contenuto all’interno, alle deformazioni ottico-dinamiche che, ad esempio, un volume sferico provoca sui confini percepibili di un corpo in esso incluso.

A questo particolare momento di ricerca corrispondono le edizioni d’arte realizzate in resina fenolica e serigrafia per Danese (cubi, sfere e cilindri, 1959-1963), pensate per l’esperienza diretta del fruitore.

Accanto a questa serie, Mari realizza anche i multipli Nove materiali e Il cubo a sei facce (1960) a esemplificare la ricerca sulle relazioni sensoriali.

La seconda ricerca riguarda invece l’analogia tra le strutturazioni seriali dei fenomeni naturali e la programmazione dei fenomeni percettivi: costruendo un parallelismo con la percezione visiva delle modificazioni del paesaggio naturale, Mari si interroga sul nostro modo di recepire il disporsi dei moduli artificiali di un’opera d’arte secondo un programma che tiene conto della relazione tra la loro modularità e la necessità di definire una certa forma nonostante certi limiti. L’Oggetto a composizione autocondotta del 1959 è lo strumento che Mari costruisce per verificare e dimostrare questi fenomeni: 18 volumi modulari in legno, racchiusi tra due lastre trasparenti in una cornice quadrata e un’asta fissa, sono liberi muoversi, autocomponendosi per gravità, cambiando il piano di appoggio dell’oggetto, determinano sempre un’immagine ottimale e quindi significante per questa ipotesi estetica. Da questo oggetto alla Serie della natura, Mari espone parimenti la sua indagine sul tema del multiplo d’arte come opera progettata per essere prodotta in copie mediante tecniche industriali.

Nel 1959, la Galleria Danese ospita la personale “Strutture e ricerche” e, con l’occasione, viene edito da Muggiani il catalogo Enzo Mari, che accoglie i testi di presentazione di Bruno Munari e Max Bill e ha allegata la Struttura 483, modello tridimensionale pieghevole in cartoncino bianco e nero.