Dal 1961 in avanti, si avvicendano molti eventi, quali mostre e dibattiti, attorno al tema della ricerca visuale di cui Mari è uno degli esponenti. In quello stesso anno, l’autore partecipa alle riunioni del Gruppo T di Milano e del Gruppo N di Padova. Con questi artisti intreccia un fecondo dialogo, favorito anche dalla comune posizione di contestazione nei confronti del mercato dell’arte e dell’accademia.
In questo clima di forte rinnovamento, in cui si va ridefinendo il ruolo dell’arte in una società vissuta come tecnologica, Mari è parte attiva. Il primo coinvolgimento è nella mostra “Arte Programmata” del 1962, organizzata Bruno Munari e Giorgio Soavi, dell’Ufficio propaganda e sviluppo della Olivetti: l’evento si tiene dal 15 al 30 maggio a Milano negli spazi della ditta alla Galleria Vittorio Emanuele II e successivamente diventa itinerante, ospitato anche a Venezia, Roma, Trieste, Düsseldorf, Londra e in diverse istituzioni degli Stati Uniti, con la presenza di artisti diversi a ogni edizione. Qui Mari, che cura catalogo e allestimento (1962), partecipa con la Struttura 649, formata da una griglia regolare di 16 lampadine rosse, blu e gialle ad accensione intermittente programmata su tempi diversi, le cui luci interferiscono attraverso uno schermo a cellule regolari.
Tra il 1962 e il 1965, Mari prosegue le sue ricerche sull’analogia tra le strutturazioni seriali dei fenomeni naturali e la programmazione dei fenomeni percettivi studiando le variazioni tematiche attraverso modelli costituiti dall’aggregazione programmata di componenti modulari prefabbricate secondo due diversi programmi: nel primo, sequenze regolari di moduli occupano gradualmente uno spazio determinato seguendo un andamento dato; nel secondo, invece, si osservano sequenze di moduli disporsi gradatamente secondo le loro possibilità di aggregazione. Esempi di queste ricerche sono le Strutture 725, 726 (1963) e 743 (1964) per il primo gruppo, e le Strutture 793 e 795 (1965) per il secondo.
Risale al 1962 la mostra, “Ricerche visive – Strutture – design di Enzo Mari e Bruno Munari”, organizzata da Carlo L. Ragghianti, Pier Carlo Santini e Bruno Danese al Palazzo Strozzi a Firenze.
Nel 1963, dopo il successo di pubblico e critica ottenuto dalla mostra “Nove Tendencije” alla Galerija Suvremene Umjetnosti di Zagabria nel 1961, sempre sull’arte programmata e il rapporto con la tradizione artistica, la Fondazione Querini Stampalia di Venezia ospita “Nuova tendenza 2”, mostra a cui Mari partecipa con la Struttura 729 in alluminio anodizzato. Mari sarà presente anche a Zagabria alle mostre “Nove Tendencije 3” (13 agosto – 3 ottobre 1965), che coordina, e “Tendencije 5” (Konstruktivna vizuelna istraživanja; Kompjuterska vizuelna istraživanja; Konceptualna umjetnost, 1 giugno – 1 luglio 1973), ultima mostra sull’arte programmata, con le serigrafie Falce e martello (1954 e 1970) e la litografia su carta Falce e martello (1972), parte della cartella Falce e Martello per le Edizioni O. In particolare, il progetto vincitore del concorso “Nove Tendencije 3”, che sarà prodotto da Danese in 55 esemplari, è lo Strumento visuale di Michel Fadat, spunto per Mari a realizzare Omaggio a Fadat (1967), una macchina per l’osservazione dei volumi virtuali formata da 64 lampadine equidistanti, montate su 4 supporti in plexiglas e acciaio, la cui accensione dipende da altrettanti interruttori. L’opera viene esposta alla mostra “Luce e movimento” alla Galleria dell’Ariete a Milano nel 1967. La partecipazione di Mari a queste mostre, sia come artista (seconda e quinta edizione) sia come coordinatore (terza edizione), è fondamentale poiché istituisce un confronto diretto con la situazione artistica e culturale di quegli anni: è un momento di svolta, in cui l’azione sociale degli artisti si attua attraverso l’unione tra arte e scienza come nuova metodologia di indagine del mondo. Tuttavia, poiché le rivendicazioni teoriche, quali la lotta al mercato dell’arte e la condivisione dei risultati delle proprie ricerche, non hanno alcuna concordanza con le opere d’arte proposte, il movimento finisce per essere annesso al sistema contro cui opponeva resistenza.
Sempre nel 1967, riceve il primo Compasso d’Oro per le “Ricerche individuali di design”, che si concentrano su tre aspetti: ricerche sui valori fondamentali delle strutture percettive, su specifici aspetti del design che rientrano nei limiti dell’attività professionale e sulla pregnanza sociologica della divulgazione dei problemi legati al design.
Nella seconda metà degli anni Sessanta Mari continua le sue ricerche afferenti all’ambiguità percettiva dello spazio tridimensionale interno costruendo modelli che gli permettono di indagare gli ambienti apparenti e le relazioni di profondità o dimensione. La Specosfera (1965) prende forma dall’intento di Mari di osservare il comportamento di un’immagine in movimento riflessa all’interno di un volume sferico perfettamente speculare, per il quale immagina una dimensione di almeno 3 m di diametro; i problemi di diseconomicità lo spingono a studiare una struttura sferica composta da 20 specchi e 12 aperture di diametro ridotto (65 cm), un icosaedro in specchio, acciaio e cloruro di polivinile le cui superfici riflettenti siano sufficientemente piccole da poter ovviare al problema dell’assenza di curvatura. Sostiene Mari che, nonostante i limiti della struttura, l’esperimento permette di intuire le potenzialità dello spazio dilatato in profondità.
Per quanto attiene lo studio delle relazioni di profondità o dimensione e la loro variazione progressiva, Mari fa riferimento a due distinti esempi: nel primo caso varia la profondità di modelli uguali, nel secondo caso a una data profondità corrispondono modelli con gli stessi rapporti dimensionali ma proporzionalmente diversi. Lo Strumento per le relazioni di profondità (1965), di dimensioni 35 x 35 x 100 cm in cartone bianco, permette l’osservazione e il confronto dei modelli in progressione. La Struttura 930 (861C, 1968), di dimensioni 106,5 x 34 x 12,5 cm in alluminio anodizzato naturale e nero illustra il programma di progressioni dimensionali semplici, in cui il modulo di base, quadrato, raddoppia dimensionalmente fino ad arrivare a 8, mantenendo inalterata la profondità delle celle, che invece varia per esempio nella Struttura 913, il cui fondo regredisce in diagonale. Torna sulle questioni relative alle relazioni di profondità e dimensione con la Struttura 1118A (1973), un multiplo d’arte prodotto in 150 esemplari edito per Giorgio Lucini, in cartoncino fustellato bianco.